04-09-2024
Nel notissimo caso dell'artista Gino De Domincis (1947-1998) risalente alla Biennale di Venezia del 1972, il giudice penale si è trovato per caso e per la fortuna degli operatori del settore artistico e legale, a dover approfondire e chiarire la questione su quali siano i confini dei termini di comprensione da parte di un pubblico, più o meno colto, della rappresentazione artistica di un giovane affetto da sindrome di down seduto su di una sedia con un cartello al collo che recava la scritta “Seconda soluzione d’immortalità (l’universo è immobile)”. Non convincendo la portata artistica dell'opera e ipotizzando violazioni al codice penale, a conferma una volta di più che il suo autore non fu mai interessato a interagire e cooperare con il pubblico, la sala venne chiusa e De Dominicis denunciato per sospetto reato di sottrazione di persona incapace ai genitori ignari della iniziativa e violazione del disabile. Dai carteggi processuali emerge l'interesse che il magistrato ha avuto nell'interrogare direttamente l'autore dell'opera per capire davvero quali fossero le sue intenzioni, cercando di trovare un equilibrio tra la legge penale e quella libertà del pensiero artistico che va al contempo protetta dalla fonti più elevate dello Stato di diritto.
Il principio che ancora oggi fa scuola sancito nella pronuncia di assoluzione di De Dominicis offre un ragionamento giuridico che non trascura l'elemento del fare artistico e che si risolve nella necessità di dare una interpretazione soggettiva dell'opera d'arte che ci si presenta davanti agli occhi; interpretazione illuminata dalla chiarezza dell'intenzione di chi crea: in qualunque opera, a prescindere dalla forma, precisa nel suo corpus mechanicum o volatile ed effimera nell'essenza più intima del suo corpus mysticum, secondo il giudicante c'è un momento in cui il sentimento artistico che freme nell'autore deve emergere chiaramente e la creazione compiersi e perfezionarsi nell'arte. Così De Dominicis viene assolto perché è stata compresa la sua idea d'arte, e il giudice ha ritrovato nella spiegazione offertagli quel sentimento che deve per forza essere presente in un'opera perché possa dirsi “d'arte”.
Anche se non è affare del Tribunale decidere quando un'opera è un'opera d'arte, questo caso pratico evidenzia come spesso i giudicanti cui viene sottoposto un caso possano avere delle necessità di chiarimento su creazioni che non sono di immediata comprensione. E se da un lato la storicizzazione dell'autore, la sua notorietà nell'ambiente e/o la presenza delle sue opere su cataloghi o nei musei, aiuta il giudicante a convincersi della portata artistica di una creazione incomprensibile; anche la maieutica dell'intenzione dell'autore che emerge incorrotta dall'opera stessa diventa parametro di valutazione per consacrarla o meno nel mondo dell'arte e/o del suo mercato. Se qualcuno rischia il processo per un fare artistico apparentemente inespresso, va detto però che qualcun altro proprio grazie all'immediatezza delle sue composizioni figurative, può permettersi di usare semplici stencil e bombolette per creare messaggi universalmente comprensibili in qualunque luogo al mondo, secondo le lingue più sconosciute e ai confini di qualunque cultura, aiutando certamente il lavoro di un Tribunale a comprendere di cosa si stia parlando.
Uno di questi artisti geniali nella comprensione nelle sue creazioni è Banksy. Perfetto conoscitore dell'arte pittorica per cui difficilmente se ne potrebbe contestare l'abilità, è soprattutto nei murales che appaiono inaspettati in zone di città che diventano conosciute all'istante che perfeziona le sue creazioni artistiche diventando così uno dei più popolari street artist al mondo. Nel rispetto delle opinioni e delle inclinazioni artistiche di ognuno, è indiscutibile la grandezza di un autore che con una semplicità disarmante e nella più piena conoscenza dell'arte, crea opere dai messaggi di chiarissima comprensibile finezza; sia esso un singolo creatore anonimo o un collettivo; misterioso per marketing o per pura credenza, è comunque sempre capace di creare commozione e solidarietà in chiunque veda le sue opere. Nell'epoca più attuale quindi, non sempre ci si stacca da quella abitudine conservatrice per cui le iconografie offerte al pubblico vengono incontro senza imporre particolari ragionamenti e quindi anche le comprensioni artistiche nel mondo giuridico sono favorite e facilitate. Il pubblico alternerà quindi lo sforzo necessario per comprendere i messaggi d'arte di taluni autori, per viceversa essere completamente alleggerito dalle visioni semplici di chi gli si rivolge con immediata chiarezza e lo spettatore in questa alternanza intellettuale non potrà che ritrovare nella pura curiosità quell'elemento essenziale per accostarsi a qualunque espressione artistica.
Nicoletta Barbaglia
(nella foto "Devolved Parliament", Banksy, 2009)
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